Borgo

Borgo Scacciaventi" -"Borgo Magno"

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Le prime notizie relative al "Borgo" risalgono al XII secolo, quando con il toponimo "Scacciaventi" viene citato nel "liber familiarum" conservato negli archivi dell'Abbazia della S. S. Trinità, datato 1180, dove c'è un riferimento ad un "Iocus qui dicitur Scazzaventre". Il toponimo si deve alla famiglia"Scacciaventi"che stabilì in loco la propria abitazione. Il rione, denominato"Iocus Scazzaventre", inizialmente è costituito da un agglomerato di botteghe e magazzini che si snoda lungo il tortuoso tracciato di fondovalle dell'antica Via Caba.

Il suo sviluppo, tra il XIV ed il XV secolo, si deve principalmente alla necessità di incrementare le attività commerciali. L'insediamento di fondovalle, posizionato lungo quella che va diventando la principale arteria di comunicazione. Il rione quindi si ingrandisce formando due filari continui di botteghe e magazzini, assumendo sempre maggiore importanza, fino a diventare il fulcro intorno a cui ruota la vita economica della Valle Metelliana. La struttura insediativa di origine longobarda delle"curtes in montibus vicatim", dei grandi casali sparsi sulle colline, economicamente e produttivamente autosufficienti, si trasforma in un sistema condizionato dail'attività commerciale in cui il"Borgo"diventa il nodo centrale; per questa sua peculiarità verrà anche denominato" Borgo ".

Nella metà del XV secolo il "Borgo" modifica la sua configurazione, da semplice insediamento di botteghe, a carattere prevalentemente commerciale, inizia a diventare un insediamento anche residenziale. Alle botteghe si aggiungono le abitazioni. Lo sviluppo architettonico-costruttivo ha inizio con dei manufatti a pianta rettangolare, coperti con'na volta a botte, ad essi si aggiunge la sovrastante abitazione, generalmente un solo ambiente, servita da una stretta scala posta lateralmente al manufatto stesso. Completa il tutto, l''elemento architettonico che caratterizza e rappresenta tuttora la peculiarità dell'edificato del fondovalle Metelliano, il portico, che diventerà una costante anche nei nuovi fabbricati.

Nasce così la"Casa Bottega", il casale diventa "Borgo Grande" o, come viene identificato nei documenti notarili, "Burgo Magno Cavensi “ed il porticato ne costituisce sempre più l'elemento architettonico priicipale.

Nel XV secolo la trasformazione del casale si completa, allo sviluppo delle attività commerciali si affiancano le attività sociali e civili a cominciare da quelle religiose. Il Borgo diventa anche il centro politico della città. Le grandi famiglie della nobiltà e della borghesia metelliana vi trasferiscono le proprie residenze ed i propri interessi. Le mutate esigenze abitative fanno sì che l'edificato venga modificato ancora, nascono così, in genere dall’accorpamento di più botteghe adiacenti, edifici più complessi, veri e propri palazzi di famiglia. Vengono edificati, in genere, conservando o ricostruendo i porticati, mantenendo i caratteristici "pilieri", i pilastri in blocchi lapidei che sorreggono le arcate dei porticati, spesso di altezze differenti.

Si ampliano gli ingressi con portoni ad arco ed androni ricavati da una bottega; vengono aggiunte le corti interne che si sviluppano fino ai retrostanti giardini. La "Casa Bottega" si trasforma in "Casa Palazziata".

Tra il XVI e XVII secolo il "Borgo Magno", raggiunto il suo assetto urbanistico generale, subirà per lo più le trasformazioni dettate dal gusto architettonico delle epoche, in particolar modo il "barocco" influenzerà in maniera più evidente le facciate dei palazzi.

I terremoti tra la fine del '600 "e del '700", pur rendendo necessari numerosi interventi di consolidamento e ristrutturazione ed in taluni casi di riedificazione totale, non mutano sostanzialmente la tipologia architettonica.

Gli edifici sia ristrutturati che ricostruiti, conservano infatti generalmente gli antistanti porticati che si affermano sempre più come elemento dominante.

Rappresenta l'eccezione il "palazzo Genoino", che in seguito al crollo causato dal terremoto settecentesco, sarà riedificato senza il porticato ed arretrato rispetto alla primitiva area. Il '700 e l'800 portano ulteriori trasformazioni, le Case Palazziate passano di mano, i nuovi proprietari talvolta aggiungono agli originari due livelli, un terzo livello, che spesso si evidenzia in facciata per un differente stile architettonico, leggibile ancora oggi.

Gli elementi architettonici caratteristici sono i cosiddetti "pilieri" , pilastri in blocchi lapidei che sorreggono gli archi, le volte ed i solai dei porticati. Spesso di materiali differenti, dal tufo grigio nocerino, al travertino, alla pietra lavica, al tufo giallo, al piperno, sempre sormontati da capitelli di semplice fattura, più che altro una modanatura di coronamento, essi presentano dimensioni, sezioni e conformazioni lapidee differenti anche nel singolo edificio; dalle sezioni ottagonali piu' antiche ai blocchi quadrato-rettangolari in piperno dei piu' recenti.

Gli archi, in genere di dimensioni e sesto differenti, a seconda delle luci tra i pilieri, sono l'elemento che nel tempo ha subito meno trasformazioni ; in maggioranza a tutto sesto e talvolta a sesto ribassato, edificati anch'essi in materiali diversi, conci in pietra calcarea, in tufo grigio, in piperno, per la difficoltà tecnica di sostituirli sono rimasti, tranne in casi di riedificazione totale, sostanzialmente nella configurazione originaria.

I portali, bloccati nel loro sviluppo dalle linee architettoniche del porticato, presentano, nella maggioranza dei casi, una configurazione formale improntata alla semplicità. e utilizzano gli stessi materiali dei “pilieri"; conci in tufo grigio, in piperno o in pietra calcarea, lisci o a punta di diamante formano l'arco di ingresso che spesso culmina in chiave con un elemento su cui spicca un disegno in bassorilievo.



testo da un cartello in ceramica del Borgo di Cava

REALIZZATO DAL LIONS CLUB CAVA DE'TIRRENI-VIETRI ANNO SOCIALE 2018/19.

Palazzo di Città (ex Teatro Verdi)

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L'odierno Palazzo di Città sito alla Piazza Eugenio Abbro, è stato in precedenza un teatro che ha funzionato per circa tre quarti di secolo, dal 1878 al 1946, soprattutto con la rappresentazione di operette e con concerti di musica bandistica.

L'Epitaffio (di Resicco)

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La Città de la Cava aveva all'ingresso nord e sud del Borgo due epigrafi ai piedi delle quali esistevano due ampie fontane. Nel 1600 venne completato il nuovo tratto della strada Regia a nord di Cava e vi fu costruito un nuovo ponte per migliorare la viabilità.  Infatti nella zona esisteva il rio Secco, detto anche Resicco, che si immette nel rio del Contropone, fiumicello che nasce a sua volta alle falde del Monte Finestra, scende da Passiano e si immette nella Cavaiola.Con la costruzione di questo ponte si migliorò la viabilità a Cava in quanto spesso a seguito di violenti piogge, il corso d'acqua si ingrossava ed era pericoloso attraversare il ponticello di legno che lì esisteva.

L'ampliamento del ponte, voluta da don Juan Alonso Pimentel de Herrera, conte di Benevento e vicerè sotto il regno di Filippo II, fu accompagnata dalla costruzione di una fontana e di un abbeveratoio. La costruzione è costituita da blocchi squadrati in pietra grigia, lese bugnate con capitelli dorici, triglifi, con un timpone triangolare, con pinnacoli con sfere, scudi araldici e grandi volute laterali. La fontana e l'abbeveratoio già nel 1700 non erano piu' in sede. Al centro dell'epitaffio, sotto gli scudi araldici di Filippo II e del duca di Benevente si legge:

 

PHILIPPO III REGNANTE AD PVBLICUM COMMEANTIVM VSVM ATQ. COMMODI ILL.MUS ET EXCELL.MUS D.IO.ALPH.PIMENTELBENEVENT COMESET DVX PROREGE PONTEM RESICCVM DICTVM ERIGENHDV CVRAVIT ANO DMI MDCVIII

SOTTO IL REGNO DI FILIPPO III, L'ILLUSTRISSIMO ED ECCELLENTISSIMO JUAN ALONSO PIMENTEL DE HERRERA , CONTE DI BENEVENTE E VICERE', NELL'ANNO DEL SIGNORE 1609 FECE COSTRUIRE IL PONTE DETTO DEL RESICCO PER PUBBLICA UTILITA' E BENEFICIO  DEI VIAGGIATORI.

S.Maria del Rifugio

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 Note storiche sul complesso monumentale di S.Maria del Rifugio

LA STORIA

Nel 1450 la Città de la Cava stipula un accordo con i Frati Minori per la costruzione di una Chiesa con annesso Convento, ma fino al 1492 i lavori non possono avere inizio per le continue guerre  tra Angioini e Aragonesi.

La Madonna dell'Olmo

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Nel luogo in cui oggi sorge il Santuario, verso la fine del XI secolo esisteva già una cappellina dedicata a Santa Maria della Pietà e dell’Olmo. La località, chiamata Panicocolo, all’epoca si presentava ancora nella sua natura selvatica e boschiva. I pastori dei casali delle colline circostanti scendevano qui, a valle, per il pascolo del bestiame. La cappellina si situava proprio all’incrocio di un importante snodo viario, la via Nocerina che, attraversando l’attuale corso, da Napoli portava a Salerno. Tale posizione, così favorevole agli scambi commerciali, favorirà nel XV secolo lo sviluppo di quello che sarà denominato il Borgo Scacciaventi, verso le cui botteghe confluivano i prodotti dell’artigianato tessile cavese.

La cappellina sarebbe stata costruita dal proprietario del terreno nel luogo dove fu rinvenuta la sacra immagine. La leggenda racconta che in una notte oscura un gruppo di pastori, mentre era intento a sorvegliare le pecore, fu attratto da un insolito splendore, che li lasciò sorpresi e impauriti. L’evento si ripeté per molte notti successive, finché una notte gli umili pastori si fecero coraggio e decisero di avvicinarsi al luogo da cui proveniva il sovrumano bagliore. Man mano che essi si avvicinavano, vedevano che quella strana luce si affievoliva fino a spegnersi. Decisero, dunque, di riferire la notizia all’abate che sarebbe stato, secondo taluni il primo, S. Alferio e secondo altri il terzo, chiamato S. Pietro. L’abate decise, dunque, di recarsi personalmente sul luogo in solenne processione e con gran devozione. La sorpresa fu veramente grande: giunti sul posto i convenuti videro tra i rami di un grande olmo, circondata da mille luminosissime fiammelle, l’immagine di Maria. L’abate, pensando di portarla in un luogo più decoroso, trasportò il santo simulacro nella chiesa di S. Cesario, ma da qui scomparve per ricomparire miracolosamente sul luogo delle precedenti apparizioni. L’abate da ciò comprese che era volontà della Madonna che la sua immagine fosse venerata proprio in quel sito.

La sacra icona

Ricostruire le origini e la storia del santo simulacro non è impresa agevole poiché nel Medioevo le reliquie e le immagini sacre hanno, spesso, subito numerose traslazioni nel tentativo di sottrarle all’iconoclastia. Il Polverino, notaio e storico cavese del 1700 così ce la descrive: [... è dipinta su una tela, di colore bruno, di volto grave con un neo sul viso nella parte destra e propriamente sotto la gota, col  manto azzurro, con una stella dorata a man destra con i suoi finimenti anche dorati, col suo Bambino Gesù in atto di stringerselo al seno, unita guancia a guancia ]. Con molta probabilità, per le caratteristiche bizantine, l’opera risale al 1000 ed è dipinta a tempera, su tela preparata con uno strato di cera saponificata e colla, protetto con resine sciolte in olio di lino cotto.

Notizie storiche

La posa della prima pietra avvenne nel 1482 e fu benedetta da S. Francesco di Paola, invitato dai Cavesi, i quali seppero che era di passaggio per Cava in quanto, per ordine del Papa Sisto IV, doveva recarsi in Francia per la guarigione del Re Luigi XI. In quella occasione, il Santo vaticinò che un secolo dopo nella nuova chiesa avrebbero officiato i suoi frati. I frati Minimi o Paolotti hanno, infatti, retto il santuario ed il convento con un piccolo terreno coltivabile dal 1581 al 1807, anno in cui dovettero lasciare il complesso per via della soppressione napoleonica di tutti gli ordini religiosi. A partire dal 1896, il santuario fu affidato ai Padri Filippini, ordine fondato da S. Filippo Neri. Ad essi si deve l’attuale sistemazione del complesso monumentale dell’altare, la realizzazione del pulpito, della cantoria e del nuovo organo tutt’ora funzionante.

Esterno

Il complesso architettonico si compone di due edifici che si fiancheggiano. La chiesetta laterale, che oggi funge da oratorio della Confraternita, cui si deve la fondazione dell’antico ospedale di S. Maria dell’Olmo, presenta un primo ordine sul quale si aprono tre portali. Quello maggiore, poggiante su una gradinata, è chiuso da cornici ed  è sormontato da un timpano spezzato curvilineo. Volute angolari lo raccordano all’ordine superiore, forato da una grande apertura dalle linee sinuose. Membrature, lesene, cartocci, ghirlande e torniti pinnacoli conferiscono alla piccola facciata eleganti forme tardobarocche.

La  facciata più grande, quella della chiesa madre, è ugualmente realizzata con la sovrapposizione di due ordini architettonici, scanditi da due coppie di lesene con capitelli ionici. Un timpano triangolare, recante a centro un ovulo con l’immagine della Vergine, la completa. Il fianco esterno a vista presenta una successione di poderosi contrafforti e si conclude con il campanile massiccio e squadrato, realizzato in travertino e pietra calcarea. Al primo ordine, che si impone per la dicromia della zebratura, si apre un ampio portale che introduce nel cinquecentesco chiostro del convento dei Minimi, oggi casa dei Padri dell’Oratorio. Si tratta di un quadriportico a pianta quadrata e, su ciascuno dei suoi lati, si aprono cinque archi a tutto sesto impostati su possenti pilastri squadrati.

Interno

L’edificio è ad una sola navata, con piccole cappelle laterali decorate da altari minori. Il soffitto è impreziosito da cornici seicentesche in oro zecchino che racchiudono quindici tele raffiguranti episodi e guarigioni di S. Francesco di Paola. Sono opera del palermitano Michele Ragolia, del 1683, come l’affresco dei Santi in gloria della cupola a scodella che sovrasta la zona absidale. Quest’ultimo, restaurato, si presenta chiaramente leggibile, mentre le tele del soffitto appaiono coperte da una densa patina.
Il complesso monumentale dell’altare maggiore è stato realizzato dallo scultore napoletano Francesco Ierace. Inaugurato nel 1924, ha dato una sistemazione di privilegio all’icona della Vergine, posizionata precedentemente su un altare minore, quello che oggi è dedicato al Sacro Cuore. Ai piedi dell’albero bronzeo che la cinge con le sue fronde, sono collocate le quattro imponenti statue marmoree di S. Adiutore, S. Alferio, S. Francesco di Paola e S. Filippo Neri, santi che hanno avuto particolare rilievo nella storia di Cava e del santuario. Due angeli oranti di gusto neoclassico posti su alti pilastri dominano l’originale complesso.

Ugualmente novecentesco il pulpito marmoreo dedicato al Vangelo, opera dello scultore cavese Alfonso Balzico. Poggia sul dorso di un leone e di un toro, simboli, rispettivamente, degli evangelisti Marco e Luca. I bassorilievi del parapetto raffigurano sul fronte un libro del Vangelo, a sinistra un’aquila simbolo dell’evangelista Giovanni, a destra un angelo simbolo dell’evangelista Matteo. Alla base una grande “M” coronata da fregi è chiaro richiamo alla Vergine Maria.

L’intero edificio presenta una decorazione in marmi policromi ottocentesca. Due archi di piperno scuro lavorati a scalpello a corda intrecciata sono stati rinvenuti al di sotto di questa in corrispondenza di due cappelle laterali a destra e sinistra; sono testimonianza della perizia dei maestri scalpellini cavesi. Sull’ultimo altare a sinistra, nei pressi della sacrestia, è una statua dell’Immacolata (1594), opera dello scultore Michelangelo Naccherino. Un dipinto con S. Filippo Neri e S. Carlo Borromeo fa bella mostra su un altare laterale a destra. Due sculture lignee, policrome, seicentesche, un crocifisso e il busto di S. Anna (Giacomo Colombo 1671), sono collocate su altri altari minori.

Nella basilica è conservato il corpo del Servo di Dio P. Giulio Castelli che fondò la Congregazione dell'Oratorio di S. Filippo Neri a Cava de' Tirreni, di cui è in corso il processo di beatificazione.

Nel 1684 venne dichiarata patrona e protettrice di Cava e da allora il culto ha preso il sopravvento nell'animo dei Cavesi, tanto che S. Adiutore è rimasto patrono soltanto nella Diocesi.

 


( Si ringraziano per la collaborazione, per i testi e le foto la prof.ssa Annarita Manzo e le classi 4a e 4C  a.sc. 2008/2009  dell'Istituto Professionale per il Commercio di Cava de' Tirreni)

 

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