Cava Ieri

Cava e i suoi porti nel Cilento

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Anche Cava ha avuto i suoi porti e si espansa, tramite l’Abbazia della SS.Trinità, anche nel Medio Oriente.

Nel 1097, il conte Guaimario, signore di Giffoni, donava a Cava un piccolo porto sul mare di Velia. E’ nota l’importanza dei porti per l ’Abbazia che, proprio dalla fine del secolo XI, esercitò una vasta attività marinara nel golfo di Salerno e fino in Africa e in Asia Minore

L’ ascesa di Cava proseguì nel secolo seguente, quando, nell’anno 1123, l’erezione, ad opera dell’abate Costabile, del Castello dell’Abate sulla vetta del monte de Gulia e del circostante centro abitato, dette ai domini cavensi del Cilento un centro amministrativo e un presidio strategico contro le scorrerie dei barbari: la costruzione del castello fu ultimata dall’abate Simeone. La fortezza era in posizione dominante e potè assolvere in pieno la funzione per cui era stata ideata.  Gli abitanti delle vicinanze accorsero subito sotto la sua protezione; raggrupparono le dimore ai piedi delle sue muraglie, formando così, in molto poco tempo, uno dei centri più popolosi di tutta la costiera cilentana.

L'abate Costabile in una rappresentazione presso l'Abbazia SS.Trinità di Cava

Nel 1124 fu comprato dall’abate Simeone il piccolo porto di Traverso presso punta Licosa: ingrandito, esso diventò uno degli approdi più sicuri della regione. Altri cinque porti furono confermati da Guglielmo Sanseverino all’ abate Benincasa, nel 1186.

Si può dire che nei secoli a venire la storia del Cilento si identificherà con la storia della Badia di Cava e con quella, nel complesso benefica, dei potenti Sanseverino, i quali crearono il loro bastione nella «Rocca Cilenti». Nel marzo 1187 fu proprio Guglielmo Sanseverino a riconoscere i confini dei possedimenti che la Badia aveva nell’ambito della laica Baronia del Cilento: cinque porti sulla costa, il Castello dell’Abate e finalmente i casali sorti attorno ai vecchi monasteri pre-cavensi. Fu il periodo d’oro del Cilento.

Tratto da Rassegna storica salernitana gen/dicembre 1962 e P.Guillaume, Essai historique sur l’Abbaye de Cava, Cava dei Tirreni, 1877

La letteratura archeologica su Cava

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Su Cava de’ Tirreni possediamo una letteratura archeologica piuttosto limitata.

Oltre a studi di storici locali quali:

Aniello Polverino Descrizione istorica della città fedelissima della Cava  1716, pagg 48-49, 67-68 leggi qui

Orazio Casaburi ,Raccolta di notizie storico-topografiche sull'antica, e distrutta città di Marcina cominciando da tempi incerti, sino al secolo 17., e sull'origine delle due città di Vietri, e Cava. 1829 pagg .93-94; leggii qui

Giovanni Alfonso Adinolfi Storia della Cava distinta in tre epoche 1846, pagg. 43- 50; leggi qui

da Andrea Carraturo nel 1976 nelle Ricerche storicotopografiche della città e territorio della Cava. ed. Di Mauro.e a sporadiche notizie comparse fra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento su ‘’Notizie degli Scavi di Antichità’’ (vedi ad es. Matteo Della Corte 1918,pagg. 268-269), Cava è menzionata sempre in relazione all’insediamento di Marcina citato da Strabone.

Gli utimi contributi su Cava sono stati a cura di Matilde Romito che ha  esaminato le scoperte fatte fino ai primi anni '90 con un articolo pubblicato su Apollo,la rivista del Museo Provinciale di Salerno, nel 1993 e una rilettura ricavata da un'attenta ricognizione archivistica presso la Soprintendenza di Salerno e diverse indagini  da parte di Christian Siani e pubblicata nel 2018 in Dialoghi sull’Archeologia della Magna Grecia e del Mediterraneo - Atti del III Convegno Internazionale di Studi.

Le scoperte archeologiche del 1931 - La statua della Pudicizia

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Dall’ archivio del museo provinciale di Salerno si ricava che sostanzialmente due sono i periodi più importanti del 900 per la scoperta di reperti archeologici a Cava: nel 1931 - quando furono trovate tracce di necropoli romane  -  e il 1957, quando fu scoperto un complesso termale e anche altri settori di una villa romana che però sono stati poi successivamente interrati.

Nel 1931 furono effettuate in profondità delle fognature lungo la sede della SS.18 (detta Nazionale) dalla stazione verso l’Epitaffio. Agli inizi di marzo del 1931, con la scoperta di frammenti di tegole, fu fatta subito una segnalazione al direttore del Museo provinciale di Salerno e venne denunciato che, mentre si stava scavando, era stata ritrovata una statua femminile di un metro e 40 ,senza la base, sotto uno strato di lapillo e dei frammenti di olle (pentole di terracotta) grezze con tracce di cenere .Erano scavi di tipologia tardo romana e questo fu il giudizio che viene comunicato all’epoca sulla statua ritrovata::”ha corpo appiattito e figura assai irrigidita, coperta da un mantello trattato a larghe pieghe che avvolge il corpo; un lembo di esse è ripreso sul seno e sostenuto dal braccio destro è levato in alto, il braccio sinistro è piegato sul ventre e regge l’altro lembo del manto, mentre la mano pende lungo il fianco destro;  Il viso tratteggiato assai schematicamente, appare per giunta sfigurato da corrosione; si tratta di opera romana” . In seguito gli scavi furono continuati e furono scoperte sempre nella zona Epitaffio,  presso l'hotel de Londre, due tombe a cassa di laterizi e tre deposizioni d'infanti in grosse anfore grezze  di tipo tardo romano ; fu trovata anche una piccola ciotola di terracotta grezza in frammenti. Addirittura risulta che durante lo scavo delle fondazioni del palazzo Coppola che fu fatto nel 1911 sarebbe stati trovati corredi di tombe.

Sembra quindi delinearsi abbastanza chiaramente che c’era una necropoli romana nella zona dalla stazione ferroviaria e Corso Mazzini- Ma gli scavi per la costruzione delle fognature non furono mai sospesi.

La statua ritrovata comunque non apparteneva al periodo tardo romano, come fu all’epoca scritto, ma aveva origini ben più antiche di quelle ipotizzate, cioè risaliva all'età tardo repubblicano e addirittura inizi dell'età imperiale. Infatti lo strato piroclastico su di essa ritrovato deve sicuramente riferirsi alla grande eruzione del ’79 d.C. che coprì tutte le citta vesuviane.

La statua funeraria è stata posta nel complesso di San Benedetto a Salerno (l’attuale museo provinciale) nel 1964 nel Lapidarium  , dopo essere stata “abbandonata “ nei depositi. Inizialmente in quegli anni si pensava che la statua appartenesse all’Orto Agrario di Salerno, ma poi fu ritrovato un grafico realizzato nel giugno del 1932 che visualizzava l’opportunità di sistemare il reperto trovato a Cava su di un piedistallo di travertino, fatto venire appositamente da Paestum, per sistemare la statua nel cortile dell’allora Palazzo del Governo.

 

 

 
 Il disegno della statua del 1932 con la base di travertino  La statua Pudicitia nel Lapidarium del Museo Provinciale di Salerno

La tipologia della statua è riconducibile nella scultura tardo repubblicana ed augustea: è infatti del tipo della cosiddetta Pudicitia, usato per statue femminili iconiche e rilievi funerari tra l’inizio del I sec. A.C. e l’età augustea.

Degli altri reperti del 1931, quattro pesi fittili trapezoidali, un balsamario di terracotta e uno di vetro, numerose coppette di cui quattro a vernice nera, una lucerna di bronzo con l’asta di sospensione, una piccola testa maschile echeggiante il tardo ellenismo sono probabilmente conservati nei depositi del museo.

Cava nella Strada Regia delle Calabrie e la Via Popilia

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Cava rientra nel progetto di sviluppo turistico “La Strada Regia delle Calabrie” ,un antico asse viario del Meridione, con 44 comuni da Napoli a Castrovillari, per circa 240 chilometri. L'idea parte da una ricerca dell’architetto Luca Esposito, referente del programma di riqualificazione di ArcheoClub D’Italia.

Lungo la Strada si possono trovare stazioni postali ottocentesche, taverne ottocentesche, pozzi, palazzi, testimonianze dal ‘500 all’ ‘800, un ponte romano sulla via Capua Rhegium, mentre sul fiume Sele si trova invece il ponte del Verticillo, realizzato tra il 1624 e il 1625 e ricostruito nel 1757 sotto la direzione di Luigi Vanvitelli.   

Le taverne riscoperte, in particolare, rappresentano le “aree di servizio” del tempo.   Alcune hanno ospitato personaggi come Giuseppe Garibaldi, Carlo Pisacane e scrittori del Grand Tour come Wolfgang Goethe. Lungo la Strada è possibile ammirare alcuni resti dell’antica via Popilia, la consolare romana realizzata 2200 anni fa, castelli come quello di epoca normanna nel centro storico di Castrovillari e il battistero paleocristiano di Santa Maria Maggiore a Nocera Superiore.

In Italia ci sono due vie “Popilia”: la via Popilia settentrionale e la via Popilia meridionale. Quest’ultima è conosciuta come via Capua – Rhegium  ed è la più importante strada romana dell’Italia meridionale – con la via Appia – e fu costruita nel 132 a.C. In quell’anno infatti la Repubblica decise la costruzione di una strada che congiungesse stabilmente Roma con la Rhegium (reggio Calabria), estrema punta della penisola italica.  In base al ritrovamento della lapide di Polla, la via fu edificata per volontà del console Publio Popilio Lenate. La lapide di Polla  è appunto la principale prova del tracciato della strada.

 Il tracciato della via sembra ricalcare in modo verosimilmente quello della moderna A3 Salerno-Reggio Calabria. Le principali città sul tracciato erano infatti Capua, Nola, Nocera, Cosenza, Vibo Valenzia e Reggio Calabria.

Ma uno dei punti di interesse più importanti della Strada Regia delle Calabrie è il passaggio attraverso Cava, uno dei momenti più suggestivi della Strada Regia delle Calabrie, poiché qui il paesaggio cambia completamente, passando dalle colline e monti della Calabria al mare Tirreno.  

Inoltre, la Strada Regia delle Calabrie rappresenta un importante percorso di pellegrinaggio per i fedeli che vogliono raggiungere il Santuario di San Francesco di Paola, che si trova nella città di Paola, un luogo di grande devozione per i cristiani, poiché qui è vissuto e morto San Francesco di Paola, il patrono della Calabria, che passò anche nella nostra città.

Antica iscrizione in pietra in lingua latina. Si tratta dell’Elogium o Lapis Pollae, una targa commemorativa della costruzione della Via Popilia, una strada romana che collegava Reggio a Capua. L’iscrizione riporta i nomi dei magistrati che realizzarono l’opera e le distanze tra le varie città lungo il percorso. È stata scoperta nel 1732 a Polla, in provincia di Salerno, ed è conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

 

Un po' di storia

Nel 1778 Ferdinando IV di Borbone ordinò la costruzione di una strada che unisse Napoli a Reggio Calabria. La rete viaria nelle province meridionali del Regno di Napoli era allora estremamente arretrata, con tracciati spesso ridotti a stretti e malagevoli sentieri. La difficoltà di costruire strade efficienti in questa zona era dovuta alla natura impervia del territorio, in particolare alla presenza di profondi valichi, all'estrema instabilità del suolo e al carattere alluvionale dei corsi d'acqua.

Fino al 1778 la Consolare di Calabria ricalcava ancora per buona parte il tracciato della romana via Capua-Regium, o via Popilia, costruita nel 132 a.C. e caduta in abbandono in epoca medievale. Questa strada era stata l'unica via di comunicazione con l'estremo sud italiano per secoli, ma la mancanza di manutenzione e la scarsità di traffici terrestri l'avevano ridotta a un anonimo sentiero di campagna.

Il primo vero intervento di ripristino dell'antico percorso romano si ebbe nel 1562, sotto il viceré spagnolo Duca d’Alcalà, ma i lavori furono superficiali e non duraturi. Interventi sporadici continuarono sotto la corona spagnola, con opere esaltate da epitaffi, come quelli vicino a Cava de’ Tirreni. ma si trattò di lavori superficiali che furono presto spazzati via dalle alluvioni. Sotto la corona spagnola furono effettuati altri interventi sporadici, ma solo con l'avvento dei Borbone si ebbe un programma organico di riassetto viario.

I Lavori di costruzione della Strada di Calabria furono affidati all'ingegnere militare Pasquale Landi. I lavori avanzarono speditamente e agli inizi del 1784 la strada risulterà completata da Napoli fino a Casalbuono, in provincia di Salerno.

La Strada di Calabria fu un'opera fondamentale per lo sviluppo economico e sociale delle province meridionali del Regno di Napoli. Consentì di migliorare la comunicazione tra le diverse zone del territorio e di facilitare il commercio e gli scambi culturali.

 

Le ville romane di Cava

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La villa in località S.Cesareo

Già nel '500 si ha notizia della scoperta in San Cesareo di fabbriche sotterranee, di acquedotti, vivai e fontiprobabilmente facenti parte di una villa romana, resti conservati nel Museo della Badia. Ed Agnello Polverino daqueste scoperte trasse il convincimento che anche tra Vietri e Cava vi fosse una colonia romana, distinta da Salernum e Nuceria, come descritto nel suo "Descrizione  storica della Città fedelissima della Cava" (Napoli 1716). Il Polverino ci ha lasciato una dettagliata descrizione dei ritrovamenti archeologici effettuati in Marina ed in Vietri "In occasione della realizzazione del Convento di Sant'Antonio a Marina (attuale Orfanotrofio femminile della Provincia) furono scoperte delle fabbriche sotterranee, tombe, pavimenti a mosaico, una grande statua acefala (che si pensava rappresentasse il dio Priapo o Giunione Argiva) che nel 1715 era conservata nel palazzo vescovile di Cava; una colonna di marmo collocata ancora oggi nella Piazza San Francesco di Cava ."

Interessante comunque è la scoperta della villa , ritrovata con due campagne di scavo,nel 1957 e negli anni 2000. Costruita su diversi terrazzamenti, si presenta come una struttura di grandi dimensioni con un complesso termale. Vi sono state infatti trovare suspensurae (- pilastrini a sezione quadrata o circolare, di mattoni o di pietra, alti circa mezzo metro, che sorreggevano il pavimento rialzato delle sale termali romane destinate ai bagni caldi, intorno ai quali circolava l’aria calda che veniva dai forni) e piscine nonché delle cisterne rivestite, datata grazie al materiale ceramico.

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