Stamane , come spesso mi avviene di solito, ho avuto un colpo d’occhio.
In un angolo accogliente di un bar, sotto i portici di Cava, due donne sorseggiano il loro caffè mattutino. Settant’anni di vita segnano i loro volti che raccontano storie, mentre le loro risate riecheggiano con la familiarità di chi condivide ricordi. Le loro mani, segnate dal tempo, gesticolano animatamente mentre si scambiano le ultime novità. Intorno a loro, come isole, quattro persone siedono sole ai rispettivi tavolini. Giovani, alcuni di mezza età, tutti chini sui loro dispositivi mobili: fanno scrolling con gli occhi fissi in quel mondo virtuale che sembra più reale di quello circostante. Nessuno parla, nessuno alza lo sguardo.
Due mondi che coesistono, separati da una distanza che va ben oltre i pochi metri che dividono i tavolini.
Le due donne rappresentano una generazione che ha imparato a costruire relazioni prima dell’avvento della tecnologia digitale. La loro è una socialità fatta di piccoli rituali: l’appuntamento fisso al baro o la passeggiata nel centro storico.
Per loro, stare insieme significa esserci davvero: ascoltare con tutto il corpo, interpretare silenzi, condividere uno spazio fisico ed emotivo. La loro è una comunicazione ricca di sfumature che nessuna emoji potrebbe mai sostituire: uno sguardo complice, una mano che stringe un’altra in un momento di commozione, un incoraggiamento. Nelle conversazioni degli anziani si percepisce un ritmo diverso, più lento ma più profondo. Non c’è fretta di passare alla notizia successiva, non c’è l’ansia di dover rispondere immediatamente. C’è invece il piacere dell’attesa, della pausa, della riflessione condivisa.
A pochi passi, i quattro consumatori solitari incarnano un paradosso moderno: mai così connessi, mai così soli. I loro corpi sono presenti nel bar, ma le loro menti vagano in luoghi virtuali. Attraverso gli schermi partecipano a decine di conversazioni simultanee, eppure nessuna di queste sembra richiedere la loro completa attenzione. Le loro interazioni digitali sono frammentate, interrotte, costantemente in competizione con altre notifiche, altri stimoli. Il loro modo di comunicare è efficiente ma spesso manca di profondità. Le emozioni vengono semplificate, compresse in un’immagine, in un simbolo, in pochi caratteri.
Non dico che queste persone non sono necessariamente infelici o meno sociali; hanno semplicemente adottato un diverso modo di relazionarsi, dove la presenza fisica è diventata secondaria. Ma in questo processo di adattamento qualcosa si è perso: la ricchezza della comunicazione non verbale, il conforto del contatto umano, la sicurezza di un’attenzione indivisa.
Osservando la scena, la differenza più evidente non è tanto nell’uso della tecnologia, quanto nel modo di condividere il tempo. Le due signore sono pienamente presenti nell’istante che stanno vivendo. Il loro tempo è denso, consistente. Gli altri sembrano invece in perenne attesa che accada qualcosa di meglio altrove, divisi tra il qui e l’altrove digitale.
Per le due signore, quell’ora al bar è un evento in sé, completo e significativo. Per i più giovani, immersi nelle loro connessioni virtuali, quel tempo fisico sembra essere solo un contenitore, uno sfondo poco rilevante per le loro attività digitali.
Non voglio demonizzare la tecnologia né di idealizzare il passato, anzi a volte io stesso ne sono fin troppo dentro, anche con la cura di questo blog.
Entrambe le modalità di socializzazione hanno i loro pregi e i loro limiti. La sfida per le generazioni più giovani è forse quella di imparare a integrare il meglio di entrambi i mondi: la vastità delle connessioni digitali con la profondità delle relazioni autentiche. Osservare queste due signore può essere un invito a recuperare l’arte di essere presenti, di dedicare tempo e attenzione non divisa alle persone che ci circondano. Allo stesso tempo, le nuove tecnologie offrono possibilità di connessione che le generazioni precedenti non potevano neppure immaginare.
Come ricorda l’antica saggezza latina: “Tempora mutantur, nos et mutamur in illis” – I tempi cambiano, e noi cambiamo con essi.
Ma forse, mentre abbracciamo il cambiamento, possiamo portare con noi anche quella capacità di presenza vera ed autentica che le due donne, con i loro sorrisi e le loro chiacchiere, ci mostrano essere ancora possibile e preziosa.