Le opere di Tafuri presenti nel Salone di Palazzo di Città di Cava celebrano la storia e l’identità di Cava de’ Tirreni attraverso tre dipinti emblematici.
Dalla consegna della “Pergamena Bianca” nel 1470 all’eroica battaglia del 1799, l’artista fonde realismo e simbolismo, rivelando la psicologia dei personaggi e la vivacità del popolo. Commissionate nel dopoguerra, queste opere diventano un simbolo di rinascita e riconciliazione, catturando l’essenza di una città in bilico tra memoria storica e aspirazioni future, elevando lo spettatore verso un orizzonte di bellezza.
- La Pergamena Bianca Il dipinto racconta la vicenda della “Pergamena Bianca” da parte di Ferdinando d’ Aragona al Sindaco di Cava Onofrio Scannapieco avvenuto il 4 settembre 1470. Così la città si guadagnò ampi privilegi grazie alla feredeltà agli Aragonesi. Ferdinando I assiso su un trono lapideo, consegna al Sindaco Scannapieco il rotolo della pergamena.
Il pittore descrive con realismo la psicologia dei personaggi; una luce fredda, alla maniera di Morelli, illumina la folla degli astanti indistinti fuori dalla sala del trono. Una figura a destra indica la scena. La solennità dell’evento è amplificato dalle ampie vesti dai colori intensi e lumeggiate nelle pieghe, secondo una prassi vicina alla pittura del Mancini. La maniera del Tafuri è rapida e compendiara, nonostante gli esiti confrontabili alla pittura storica e verista napoletana dell’8OO.
L’opera, insieme alle altre due tele, fu commissionata nel 1948 dal Comune di Cava de’ Tirreni al maestro Tafuri, come attestato dal carteggio conservato presso il Municipio, in occasione dell’inaugurazione della nuova Casa Comunale. Questa commissione assume un significato emblematico nell’Italia repubblicana del dopoguerra, in un Paese impegnato a riscoprire e valorizzare la propria identità storica, sia locale che nazionale, in un delicato equilibrio tra memoria e rinascita. La pittura di Tafuri si inserisce perfettamente in questo contesto, grazie alla sua capacità di fondere la tradizione storica con il fervore del presente. La sua formazione artistica, radicata nella grande scuola napoletana dell’Ottocento, sotto l’influenza di maestri come Domenico Morelli, Antonio Mancini, e Francesco Paolo Michetti, traspare con chiarezza nel suo stile. Questa eredità gli conferisce un’abilità straordinaria nella rappresentazione corale, donando vita e complessità psicologica ai protagonisti delle sue opere. Tafuri riesce a cogliere non solo le vicende storiche ma anche l’anima profonda di un popolo, trasformando ogni figura in un simbolo vivente della storia collettiva.
Le sue composizioni allegoriche, dense di significato, mostrano una maestria nel rendere visibili idee astratte e valori universali, immergendoli in una realtà vibrante e storicamente contestualizzata. In questo modo, Tafuri diventa non solo un cronista del passato, ma un interprete sensibile dell’essenza umana e del tempo in cui visse, contribuendo a definire l’estetica della nuova Italia post-bellica.
2.La scena della battaglia di Santa Lucia
Il dipinto narra l’eroica impresa dei cavesi, capitanati da Vincenzo Baldi, nel momento in cui affrontano una colonna dell’armata francese, guidata dal generale Watrin, durante la battaglia sul ponte di Santa Lucia nel 1799. Con una pennellata rapida e corposa, Tafuri riesce a catturare l’impeto e la furia del popolo cavese, mentre si lancia all’assalto con determinazione. Dal fondo scuro, dai toni plumbei e carichi di tensione, emergono i volti segnati, realistici, colti nel vento della battaglia, avvolti in abiti popolari che raccontano la concitazione del momento.
La composizione guida lo sguardo con sapienza, portandolo dal tumulto della folla al centro dell’azione, dove i cavesi si scontrano con i soldati francesi. In primo piano si vedono i corpi dei francesi riversi, sopraffatti e storditi dall’attacco improvviso, creando un potente contrasto tra l’immobilità della sconfitta e il movimento frenetico dell’assalto. A sinistra, come un testimone silente e solenne della battaglia, si erge la facciata in arenaria della chiesa di Santa Lucia, che conferisce al dipinto una solida ancorazione spaziale e storica.
Tra la folla, emergono le figure di coloro che guidano l’attacco, nelle quali Tafuri condensa tutta la sua maestria. I volti sono un tributo evidente all’influenza di Antonio Mancini, rivelando una straordinaria verità espressiva e una profonda tensione psicologica. Le emozioni di chi combatte si leggono con chiarezza, grazie all’abilità del pittore nel ritrarre la determinazione, la paura e il coraggio di ogni singola figura.
Degno di nota è l’uso sapiente della tecnica delle lumeggiature, che illuminano dettagli chiave della narrazione senza mai spezzare la coralità del racconto. Ogni pennellata sembra essere al servizio della storia collettiva, con episodi che emergono in maniera naturale dall’insieme, come se Tafuri orchestrasse non solo una scena di battaglia, ma una sinfonia visiva in cui ogni elemento contribuisce all’epica del momento.
3.L’ allegoria della città di Cava di Tirreni
La tela è un’allegoria della città di Cava de’ Tirreni, incarnata da una giovane donna seduta su un trono imponente, simbolo della città stessa.
Sul petto della figura campeggia lo stemma cittadino, mentre nella mano sinistra stringe con solennità un vessillo, segno di identità e orgoglio. Il trono su cui siede, decorato con due mascheroni antropomorfi scolpiti nei braccioli di pietra, richiama la solidità e l’antichità della città. Ai piedi del trono, le scale sono popolate da figure emblematiche, ciascuna rappresentativa di un aspetto distintivo di Cava.
A sinistra, seduto con un’aura di serenità e concentrazione, c’è un monaco dall’aspetto realistico, assorto nella lettura, incarnazione della spiritualità e del sapere religioso che caratterizzano la città. Accanto a lui, una donna – forse una ninfa seminuda – regge un globo in grembo, suggerendo l’idea del dominio e della connessione con il mondo. Con la mano destra, la figura traccia segni o scrive, probabilmente a simboleggiare l’arte o la conoscenza, mentre una delicata figura maschile, di tre quarti, domina il gradino inferiore, reggendo un mazzo di fiori e foglie nastriformi, dal sapore preraffaellita, emblema della bellezza e della natura.
A destra, un’altra donna seminuda, adagiata languidamente, porta dei fiori sul petto e ha una tavolozza accanto, simbolo dell’arte che fiorisce a Cava. L’elemento naturale è rappresentato da una divinità che emerge con il solo capo intorno a una ruota di mulino, forse a ricordare l’intimo legame della città con le sue risorse naturali. Infine, una figura celeste, quasi eterea, tiene un panno dietro il trono, come a proteggere e onorare la città da un piano più elevato. Sullo sfondo si scorgono la Badia e la città, testimonianza visiva del legame profondo tra il sacro e la comunità.
Questo gruppo di figure non è casuale: esso rappresenta le bellezze naturali, l’arte e la religione che da sempre albergano a Cava de’ Tirreni. Colpisce la straordinaria capacità del pittore di rendere la psicologia delle figure attraverso una fisionomia accurata, in una composizione che si apre verso il cielo nella parte superiore, suggerendo l’elevazione spirituale e la connessione divina.
L’opera, insieme ad altre due tele, fu commissionata nel 1948 dal Comune di Cava per decorare la nuova Casa Comunale, e in questo contesto acquista un valore particolarmente significativo. In un’Italia repubblicana appena uscita dalla Seconda Guerra Mondiale, il dipinto di Tafuri diventa un simbolo di rinascita e di riconciliazione con il passato, riflettendo il valore della storia locale in relazione a quella nazionale. In questo intreccio di simboli, storia e allegoria, Tafuri riesce a creare un’opera corale in cui il passato glorioso e la dimensione psicologica si fondono in un tributo incisivo alla città di Cava de’ Tirreni, sollevando lo spettatore dalla realtà concreta verso l’infinito.