Stamane, camminando per Cava, ho notato questo murale presso l’area mercatale cittadina e ho scattato questa foto. Vedendola, sono stato invaso di pensieri negativi, che normalmente non sono nella mia indole.
Le nuvole scure si addensano all’orizzonte. Non sono solo portatrici di pioggia, ma messaggere di un vento più freddo e pericoloso: il vento della guerra. Un vento che soffia con crescente intensità su due fronti distinti ma interconnessi del nostro pianeta.
Da un lato, vediamo il cuore che rappresenta l’Ucraina e la Russia, nazioni un tempo unite da storia, cultura e tradizioni comuni. Dall’altro, il cuore che simboleggia Israele e Palestina, terre sacre per religioni diverse ma legate da un destino comune. Entrambi questi cuori appaiono ora lacerati, divisi da linee di frattura che sembrano diventare ogni giorno più profonde.
Riflettevo che non sono semplici conflitti regionali. Sono ferite aperte nel tessuto delle relazioni internazionali, epicentri di tensioni che rischiano di espandersi ben oltre i confini originari.
Le nuvole nere che incombono su questi cuori spezzati non rappresentano solo il dolore e la sofferenza delle popolazioni direttamente coinvolte. Sono anche il presagio di un possibile probabile allargamento dei conflitti, di un’escalation che potrebbe trascinare l’intera comunità internazionale in una spirale di violenza difficile da arrestare.
Ogni giorno che passa, queste nuvole sembrano avvicinarsi. Ogni dichiarazione bellicosa, ogni nuova arma inviata, ogni negoziato fallito le rende più minacciose. E il vento che le spinge – un vento fatto di nazionalismo, di interessi geopolitici, di antiche rivendicazioni e nuove ambizioni – soffia sempre più forte.
Questi due conflitti, apparentemente separati, sono in realtà profondamente connessi. Non solo perché entrambi riflettono le fragilità di un ordine mondiale in crisi, ma anche perché entrambi hanno il potenziale di innescare reazioni a catena con conseguenze imprevedibili.
Le grandi potenze mondiali sono già coinvolte, direttamente o indirettamente. Gli equilibri geopolitici che hanno garantito decenni di relativa stabilità sembrano sul punto di rompersi definitivamente. E quando si rompono equilibri così delicati, il rischio di un conflitto di portata molto più ampia diventa concreto.
Eppure, anche davanti a queste nuvole minacciose, non possiamo permetterci di perdere la speranza, comedice Papa Francesco. I cuori spezzati possono essere ricuciti. I venti di guerra possono essere placati. Ma per farlo serve un impegno collettivo, una presa di coscienza globale dell’abisso verso cui stiamo scivolando.
Serve una diplomazia coraggiosa. Serve la volontà di ascoltare le ragioni dell’altro, anche quando sembrano incomprensibili o inaccettabili. Serve la capacità di immaginare soluzioni che vadano oltre la logica del vincitore e del vinto. Serve forse anche pregare.
I cuori dell’Ucraina-Russia e di Israele-Palestina ci ricordano che dietro ogni conflitto ci sono persone, comunità, storie. Le nuvole nere ci avvertono che il tempo per agire si sta esaurendo.
La domanda che dobbiamo porci non è se questi conflitti ci riguardino – perché in un mondo interconnesso come il nostro, essi ci riguardano inevitabilmente – ma cosa possiamo fare, ciascuno nel proprio piccolo, per contribuire a dissipare quelle nuvole minacciose prima che il temporale si abbatta su tutti noi.
Perché quando soffia il vento di guerra, nessuno può davvero considerarsi al riparo e la Storia lo insegna, anche se l’abbiamo dimenticato.