Figura di straordinaria importanza per la memoria storica italiana, Settimia era l’unica donna sopravvissuta al rastrellamento del 16 ottobre 1943 nel quartiere ebraico di Portico d’Ottavia a Roma, durante il quale furono deportati 1022 ebrei.
La vita e il dramma della deportazione
Quinta di sei figli, Settimia era nata in una famiglia del ghetto ebraico di Roma. Il padre, Mosè Mario Spizzichino, era commerciante di libri, mentre la madre, Grazia Di Segni, fu maestra alla scuola ebraica. I suoi fratelli e sorelle erano Gentile e Pacifico, Ada, Enrica e Giuditta.
Il 16 ottobre 1943, durante il rastrellamento del ghetto di Roma, fu deportata insieme alla madre, due sorelle e una nipotina. Il 23 ottobre, dopo sei giorni di viaggio in condizioni disumane, giunsero al campo di Auschwitz-Birkenau dove iniziò la selezione dei deportati. Mentre la madre e la sorella Ada con la bambina in braccio furono messe nella fila destinata immediatamente alla camera a gas, Settimia con la sorella Giuditta finì nella fila degli abili al lavoro e ricevette il numero 66210. Delle 47 donne romane rimaste dopo questa prima selezione, Settimia fu l’unica a tornare a casa, e a queste compagne di prigionia ha poi dedicato il suo libro di memorie “Gli anni rubati”, scritto insieme a Isa di Nepi Olper.
Ad Auschwitz-Birkenau le venne assegnato il duro lavoro di spostare pietre. Successivamente finì all’ospedale del campo e da qui venne trasferita al famigerato blocco 10 di Auschwitz I. Nell’inverno del 1945, con l’evacuazione di Auschwitz, dovette affrontare una delle terribili “marce della morte” fino al campo di concentramento di Bergen Belsen. Qui i prigionieri venivano ammassati in uno stato di completo abbandono e i morti formavano dei mucchi intorno alle baracche. In un episodio drammatico, quando un soldato di guardia sulla torretta, impazzito, cominciò a sparare sui prigionieri, Settimia si nascose in un mucchio di cadaveri dove rimase per diversi giorni fino alla liberazione del campo da parte delle truppe britanniche, il 15 aprile 1945.
Un legame speciale con la nostra città
Il rapporto tra Settimia e Cava de’ Tirreni era nato alcuni anni fa e si era trasformato in un legame profondo. Il 10 dicembre 1998, le fu conferita la cittadinanza onoraria della nostra città, dopo che nel 1996 l’amministrazione comunale aveva contribuito alla pubblicazione del suo prezioso libro “Gli anni rubati”. Da allora, le sue visite a Cava erano diventate frequenti.
Tenne il suo ultimo viaggio ad Auschwitz assieme ad alcuni studenti nel 1999 e nel maggio del 2000, per l’ultima volta, lasciò la sua testimonianza ad alcuni studenti cavesi nel corso del progetto “Il coraggio di ricordare”.
Nonostante il dolore che portava dentro, Settimia aveva fatto della testimonianza la sua missione di vita. Tornata a Roma dopo la liberazione, sentì infatti il dovere di raccontare e continuò instancabilmente la sua opera di testimonianza di fronte alle telecamere, con i giovani nelle scuole e nei viaggi ad Auschwitz. “Ci sono cose che tutti vogliono dimenticare,” aveva detto ai nostri ragazzi, “ma io no. Della vita voglio ricordare tutto, perché è parte della mia esistenza e soprattutto parte della vita di tanti altri che dai lager non sono usciti vivi. A queste persone io devo il ricordo.”
Un funerale significativo
Il rito funebre si è svolto a Roma, sua città natale, con una cerimonia che, nonostante il desiderio di Settimia di un funerale semplice, ha visto la partecipazione di numerose autorità e personalità. Particolarmente significativo è stato il corteo attraverso il ghetto ebraico, al quale hanno partecipato rappresentanti della comunità ebraica romana, della città di Roma, di Cava de’ Tirreni e delle associazioni dei deportati di Auschwitz-Birkenau e Bergen-Belsen.
Durante la cerimonia solenne presso la Sinagoga del cimitero del Verano, rappresentanti delle varie comunità hanno reso omaggio alla straordinaria vita di Settimia e al suo impegno instancabile nel tenere viva la memoria della Shoah. Settimia è stata sepolta nel Cimitero Flaminio di Roma.
L’eredità per le future generazioni e i riconoscimenti
La testimonianza di Settimia ha lasciato un segno profondo non solo nella nostra comunità ma in tutta l’Italia. A Roma sono intitolati a suo nome un istituto comprensivo statale (“Poggiali-Spizzichino”) e il cavalcaferrovia tra via Ostiense e la circonvallazione Ostiense, nel quartiere Garbatella. La città di Cava nel 2011 le ha intitolato una strada.
Il suo insegnamento ha gettato semi di tolleranza e rispetto, affinché istituzioni e cittadini possano contribuire alla costruzione di un mondo migliore – quel mondo in cui Settimia continuava a credere nonostante le atroci esperienze vissute nei campi di concentramento e gli pseudo-esperimenti medici subiti.
Ci ha lasciato un’eredità preziosa ma impegnativa: mantenere viva la memoria della Shoah e trasmetterla alle nuove generazioni. Questo sarà l’unico modo per continuare il percorso da lei iniziato, trasformando la storia in testimonianza viva, affinché il suo nome e il suo messaggio rimangano sempre presenti tra noi.
Come comunità, abbiamo il dovere di fare in modo che la sua testimonianza continui a essere ascoltata e che il suo messaggio di memoria e tolleranza raggiunga le future generazioni.