Vivere a Cava nel Settecento

9 Apr,2025 | Cava Ieri

Nel corso del XVIII secolo, Cava de’ Tirreni si affermava come una delle città più attive e dinamiche del Principato Citra, all’interno del Regno di Napoli. Una posizione geografica strategica – tra Napoli e la Calabria, lungo la Regia Strada delle Calabrie – garantiva scambi continui di merci, idee e persone. Ma a definire la peculiarità cavese erano anche una struttura urbana articolata, un tessuto sociale vivace e un’economia produttiva, capace di fondere agricoltura, manifattura e commercio.

Una città demaniale, autonoma e orgogliosa

Fin dal medioevo, Cava vantava lo status di città demaniale, una condizione privilegiata concessa da Bonifacio IX nel 1394. Questo titolo la esonerava da molte imposte feudali, garantendole autonomia amministrativa e giurisdizione diretta sotto la corona. In un’epoca dominata da baronie e vassallaggi, la demanialità divenne per i cives cavesi una vera e propria bandiera identitaria.Un’articolata organizzazione urbana

La città si articolava in quattro quartieri principali – Corpo di Cava, Metelliano, Passiano e Sant’Adiutore – che a loro volta inglobavano numerosi casali, tra cui Vietri, Molina, San Pietro e Pregiato. Il cuore pulsante del commercio era però il Borgo Scacciaventi, sviluppatosi con i suoi celebri portici durante il dominio angioino e perfezionato sotto gli Aragonesi e gli Spagnoli. Qui si concentravano botteghe, mercati, uffici pubblici e la sede del Parlamento cittadino.

Un sistema politico complesso

Il governo locale si basava su una forma di rappresentanza per quartiere, con l’elezione a rotazione di sindaco, eletti e deputati. Tuttavia, l’equilibrio teorico tra i quartieri spesso veniva meno a causa del potere concentrato nelle mani di poche famiglie influenti. I sindaci, per la loro esposizione e responsabilità, erano soggetti a pressioni e malcontento, soprattutto in tema di tassazione e gestione delle scorte alimentari.

Economia tra artigianato e agricoltura

Nel Settecento, l’economia cavese poggiava su tre pilastri: agricoltura, manifattura e commercio. I prodotti agricoli principali erano castagne, olio e legname, ma il vero motore era rappresentato dalle attività manifatturiere. Secondo i dati del catasto onciario del 1753, si contavano circa 1.500 agricoltori e oltre 650 artigiani tessili, attivi soprattutto nella lavorazione del cotone, lino, lana e seta. Di particolare rilievo anche le ceramiche, con un buon numero di faenzari.

Un tessuto sociale operoso

Cava era descritta dai viaggiatori del tempo come una città industriosa e ricca. I noti viaggiatori del Regno di Napoli Lorenzo Giustiniani e Giuseppe Galanti ne lodavano l’operosità degli abitanti e la varietà delle arti praticate. Più di mille telai erano in funzione, con una produzione tessile che fruttava circa 10.000 ducati l’anno.

La sfida del debito pubblico

Nonostante l’effervescenza economica, Cava affrontò durante il secolo una pesante crisi finanziaria, ereditata dal Seicento. I debiti contratti con notabili locali portarono nel 1736 alla perdita dell’autonomia finanziaria, con la “deduzione a patrimonio” e il controllo da parte della Camera della Sommaria,un organo amministrativo, giurisdizionale e consultivo operante nei regimi angioino e aragonese nel Regno di Napoli..

Cava e il Regno di Napoli

Durante la dominazione austriaca (1707-1734) e quella borbonica, la città mantenne uno stretto rapporto con la capitale Napoli. Molti cavesi si trasferirono per studiare o lavorare nella metropoli, mentre le merci prodotte in città raggiungevano il mercato napoletano. La presenza del re a Napoli rese vantaggioso per le città demaniali come Cava mantenere la fedeltà alla corona, in cambio di privilegi commerciali e fiscali.

Tratto da “Cava nel Settecento: aspetti della vita politica ed economica”, in G. FOSCARI, E. ESPOSITO, S. MAZZOLA, S. PORFIDO, S. SCIARROTTA, G. SANTORO, Lo Alluvione. Il disastro del 1773 a Cava tra memoria storica e rimozione, Salerno, Edisud, 2013.

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