Nel luogo in cui oggi sorge il Santuario, verso la fine del XI secolo esisteva già una cappellina dedicata a Santa Maria della Pietà e dell’Olmo. La località, chiamata Panicocolo, all’epoca si presentava ancora nella sua natura selvatica e boschiva. I pastori dei casali delle colline circostanti scendevano qui, a valle, per il pascolo del bestiame. La cappellina si situava proprio all’incrocio di un importante snodo viario, la via Nocerina che, attraversando l’attuale corso, da Napoli portava a Salerno.
Tale posizione, così favorevole agli scambi commerciali, favorirà nel XV secolo lo sviluppo di quello che sarà denominato il Borgo Scacciaventi, verso le cui botteghe confluivano i prodotti dell’artigianato tessile cavese.
La cappellina sarebbe stata costruita dal proprietario del terreno nel luogo dove fu rinvenuta la sacra immagine. La leggenda racconta che in una notte oscura un gruppo di pastori, mentre era intento a sorvegliare le pecore, fu attratto da un insolito splendore, che li lasciò sorpresi e impauriti. L’evento si ripeté per molte notti successive, finché una notte gli umili pastori si fecero coraggio e decisero di avvicinarsi al luogo da cui proveniva il sovrumano bagliore. Man mano che essi si avvicinavano, vedevano che quella strana luce si affievoliva fino a spegnersi. Decisero, dunque, di riferire la notizia all’abate che sarebbe stato, secondo taluni il primo, S. Alferio e secondo altri il terzo, chiamato S. Pietro. L’abate decise, dunque, di recarsi personalmente sul luogo in solenne processione e con gran devozione. La sorpresa fu veramente grande: giunti sul posto i convenuti videro tra i rami di un grande olmo, circondata da mille luminosissime fiammelle, l’immagine di Maria.
L’abate, pensando di portarla in un luogo più decoroso, trasportò il santo simulacro nella chiesa di S. Cesario, ma da qui scomparve per ricomparire miracolosamente sul luogo delle precedenti apparizioni.
L’abate da ciò comprese che era volontà della Madonna che la sua immagine fosse venerata proprio in quel sito.
La sacra icona
Ricostruire le origini e la storia del santo simulacro non è impresa agevole poiché nel Medioevo le reliquie e le immagini sacre hanno, spesso, subito numerose traslazioni nel tentativo di sottrarle all’iconoclastia.
Il Polverino, notaio e storico cavese del 1700 così ce la descrive: [... è dipinta su una tela, di colore bruno, di volto grave con un neo sul viso nella parte destra e propriamente sotto la gota, col manto azzurro, con una stella dorata a man destra con i suoi finimenti anche dorati, col suo Bambino Gesù in atto di stringerselo al seno, unita guancia a guancia ].
Con molta probabilità, per le caratteristiche bizantine, l’opera risale al 1000 ed è dipinta a tempera, su tela preparata con uno strato di cera saponificata e colla, protetto con resine sciolte in olio di lino cotto.
Notizie storiche
La posa della prima pietra avvenne nel 1482 e fu benedetta da S. Francesco di Paola, invitato dai Cavesi, i quali seppero che era di passaggio per Cava in quanto, per ordine del Papa Sisto IV, doveva recarsi in Francia per la guarigione del re Luigi XI. In quella occasione, il Santo vaticinò che un secolo dopo nella nuova chiesa avrebbero officiato i suoi frati. I frati Minimi o Paolotti hanno, infatti, retto il santuario ed il convento con un piccolo terreno coltivabile dal 1581 al 1807, anno in cui dovettero lasciare il complesso per via della soppressione napoleonica di tutti gli ordini religiosi.
A partire dal 1896, il santuario fu affidato ai Padri Filippini, ordine fondato da S. Filippo Neri. Ad essi si deve l’attuale sistemazione del complesso monumentale dell’altare, la realizzazione del pulpito, della cantoria e del nuovo organo tutt’ora funzionante.
Esterno
Il complesso architettonico si compone di due edifici che si fiancheggiano.
La chiesetta laterale, che oggi funge da oratorio della Confraternita, cui si deve la fondazione dell’antico ospedale di S. Maria dell’Olmo, presenta un primo ordine sul quale si aprono tre portali. Quello maggiore, poggiante su una gradinata, è chiuso da cornici ed è sormontato da un timpano spezzato curvilineo. Volute angolari lo raccordano all’ordine superiore, forato da una grande apertura dalle linee sinuose. Membrature, lesene, cartocci, ghirlande e torniti pinnacoli conferiscono alla piccola facciata eleganti forme tardobarocche.
La facciata più grande, quella della chiesa madre, è ugualmente realizzata con la sovrapposizione di due ordini architettonici, scanditi da due coppie di lesene con capitelli ionici. Un timpano triangolare, recante a centro un ovulo con l’immagine della Vergine, la completa.
Il fianco esterno a vista presenta una successione di poderosi contrafforti e si conclude con il campanile massiccio e squadrato, realizzato in travertino e pietra calcarea. Al primo ordine, che si impone per la dicromia della zebratura, si apre un ampio portale che introduce nel cinquecentesco chiostro del convento dei Minimi, oggi casa dei Padri dell’Oratorio. Si tratta di un quadriportico a pianta quadrata e, su ciascuno dei suoi lati, si aprono cinque archi a tutto sesto impostati su possenti pilastri squadrati.
Interno
L’edificio è ad una sola navata, con piccole cappelle laterali decorate da altari minori.
Il soffitto è impreziosito da cornici seicentesche in oro zecchino che racchiudono quindici tele raffiguranti episodi e guarigioni di S. Francesco di Paola. Sono opera del palermitano Michele Ragolia, del 1683, come l’affresco dei Santi in gloria della cupola a scodella che sovrasta la zona absidale. Quest’ultimo, restaurato, si presenta chiaramente leggibile, mentre le tele del soffitto appaiono coperte da una densa patina.
Il complesso monumentale dell’altare maggiore è stato realizzato dallo scultore napoletano Francesco Ierace. Inaugurato nel 1924, ha dato una sistemazione di privilegio all’icona della Vergine, posizionata precedentemente su un altare minore, quello che oggi è dedicato al Sacro Cuore.
Ai piedi dell’albero bronzeo che la cinge con le sue fronde, sono collocate le quattro imponenti statue marmoree di S. Adiutore, S. Alferio, S. Francesco di Paola e S. Filippo Neri, santi che hanno avuto particolare rilievo nella storia di Cava e del santuario. Due angeli oranti di gusto neoclassico posti su alti pilastri dominano l’originale complesso.
Ugualmente novecentesco il pulpito marmoreo dedicato al Vangelo, opera dello scultore cavese Alfonso Balzico. Poggia sul dorso di un leone e di un toro, simboli, rispettivamente, degli evangelisti Marco e Luca. I bassorilievi del parapetto raffigurano sul fronte un libro del Vangelo, a sinistra un’aquila simbolo dell’evangelista Giovanni, a destra un angelo simbolo dell’evangelista Matteo. Alla base una grande “M” coronata da fregi è chiaro richiamo alla Vergine Maria.
L’intero edificio presenta una decorazione in marmi policromi ottocentesca. Due archi di piperno scuro lavorati a scalpello a corda intrecciata sono stati rinvenuti al di sotto di questa in corrispondenza di due cappelle laterali a destra e sinistra; sono testimonianza della perizia dei maestri scalpellini cavesi.
Sull’ultimo altare a sinistra, nei pressi della sacrestia, è una statua dell’Immacolata (1594), opera dello scultore Michelangelo Naccherino.
Un dipinto con S. Filippo Neri e S. Carlo Borromeo fa bella mostra su un altare laterale a destra.
Due sculture lignee, policrome, seicentesche, un crocifisso e il busto di S. Anna (Giacomo Colombo 1671), sono collocate su altri altari minori.
dipinto di Silvestro Armenante 1740
Nella basilica è conservato il corpo del Servo di Dio P. Giulio Castelli che fondò la Congregazione dell'Oratorio di S. Filippo Neri a Cava de' Tirreni, di cui è in corso il processo di beatificazione.
Nel 1684 venne dichiarata patrona e protettrice di Cava e da allora il culto ha preso il sopravvento nell'animo dei Cavesi, tanto che S. Adiutore è rimasto patrono soltanto nella Diocesi.
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( Si ringraziano per la collaborazione, per i testi e le foto la prof.ssa Annarita Manzo e le classi 4a e 4C a.sc. 2008/2009 dell'Istituto Professionale per il Commercio di Cava de' Tirreni)