Ritroviamo l'equilibrio tra cani e... portici

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La nostra incantevole cittadina vanta un tesoro architettonico unico nel suo genere: un doppio filare di portici che si estende per oltre mezzo chilometro, partendo dall'antico Borgo Scacciaventi. Questi portici, già edificati nel Medioevo, rappresentano un'autentica testimonianza storica, con pilastri di diverse dimensioni che rispecchiano gli stili dei secoli passati.

Nel corso del tempo, i pilastri hanno assunto diverse altezze, riflettendo gli stili architettonici dell'epoca. Mentre durante il periodo medievale raggiungevano altezze comprese tra 2,5 e 3 metri, nel XIX secolo, in pieno stile neoclassico, sono stati innalzati fino a raggiungere i 4-4,5 metri. Questa stratificazione storica rende i portici di Cava de' Tirreni un vero e proprio tesoro.

Tuttavia, negli ultimi tempi, a causa dell'abuso da parte dei cavesi, in particolare di coloro che considerano i cani domestici un segno di eleganza, i portici sono diventati un triste ricettacolo per urine e feci animali. Questa corrosione acida minaccia la conservazione delle basi medievali dei portici, che da secoli rappresentano il simbolo di Cava de' Tirreni nel mondo.

Nonostante siano state emanate diverse ordinanze e tentativi di sensibilizzare la popolazione, i portici stanno subendo un lento ma grave deterioramento a causa delle deiezioni canine. La moda diffusa tra i metelliani di possedere un cane come simbolo di prestigio ed eleganza ha portato a un crescente numero di proprietari di cani nel centro storico. Purtroppo, non tutti si adoperano per raccogliere e smaltire correttamente le deiezioni dei loro animali, trasformando i portici in un ricettacolo per urine e feci. Questa corrosione acida sta danneggiando le basi medievali dei portici, mettendo a rischio il loro splendore storico.

Per preservare i portici di Cava de' Tirreni, che rappresentano un simbolo riconosciuto a livello internazionale, è necessario adottare misure concrete di tutela. Una di queste può essere una maggiore sensibilizzazione della comunità a prendersi cura della propria area circostante, incoraggiando i proprietari dei cani a raccogliere le deiezioni dei loro animali domestici. Altra soluzione potrebbe essere la distribuzione di sacchetti per deiezioni, mettendo a disposizione dei dispensatori di sacchetti per deiezioni canine nei pressi dei portici, in modo che i proprietari dei cani possano raccogliere facilmente le deiezioni dei loro animali.

Di aiuto potrebbe essere anche una segnaletica chiara, installando segnali ben visibili sui portici che ricordino ai proprietari dei cani di raccogliere le deiezioni e di mantenere pulita l'area ed una programmazione più costante della pulizia dei portici per rimuovere eventuali deiezioni lasciate inavvertitamente.

Ma il problema può essere risolto soprattutto con un aumento dei controlli e delle sanzioni per i proprietari non responsabili.

La prevenzione delle deiezioni canine richiede l'impegno di tutta la comunità. E a male estremi (la difesa del patrimonio culturale e storico di una città) vi sono estremi rimedi: la decisione di chiudere il Centro storico ai cani, misura per garantire la pulizia e l'igiene di queste strade storiche, così come per il rispetto degli spazi pubblici.

La presenza di cani all'interno del Centro storico porta allegria e compagnia, ma è fondamentale anche preservare e tutelare l'ambiente, affinché sia accogliente e sicuro per tutti i cittadini e i visitatori. Evitare di introdurre i cani all'interno del Centro storico ma creare anche spazi dedicati agli amici a quattro zampe nelle vicinanze, in modo da offrire loro un luogo adatto alle loro esigenze.

Ricordando la Sentenza della scolastica medievale che deriva da alcune frasi dell’Etica Nicomachea di Aristotele “In medio stat virtus”, manteniamo un equilibrio tra il diritto dei cani di godere degli spazi esterni e quello dei cittadini di usufruire di un Centro storico pulito e ben tenuto, ammirato da secoli, accogliente e di qualità per tutti.  

Un tesoro culinario nel cuore dell'antichità

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Un' oasi di storia culinaria è stata recentemente rivelata a Pompei, con la scoperta di un affresco murale davvero eccezionale. Gli archeologi del Parco Archeologico di Pompei hanno ritrovato un affresco che raffigura un piatto familiare a molti di noi: una sorta di pizza. Questa affascinante scoperta ci permette di gettare uno sguardo nel passato per comprendere le origini antiche di un vero e proprio simbolo della nostra cucina italiana.

L'affresco è stato rinvenuto nell'insula 10 della Regio IX, dipinto su una parete ben conservata di un'antica domus. Accanto a un calice di vino, posato su un vassoio d'argento, spicca una focaccia piatta, condita con deliziose e insolite combinazioni di ingredienti per l'epoca. Sulla focaccia si notano un melograno e forse un dattero, insieme a puntini color giallastro e ocra che potrebbero indicare l'utilizzo di spezie o, forse, di un tipo di pesto chiamato nell'antica Roma "moretum". L'aspetto visivamente accattivante di questo affresco ci fa riflettere su quanto il gusto del cibo sia rimasto immutato nel corso dei secoli.

Sebbene questo ritrovamento storico ci permetta di comprendere le origini antiche della pizza, è innegabile che questo cibo sia diventato un autentico simbolo della cultura napoletana nel corso dei secoli. La pizza napoletana, con la sua pasta soffice e sottile o piu’ compatta, i condimenti semplici ma gustosi e il profumo   che si sprigiona dalle pizzerie dei vicoli di Napoli, si è guadagnata una reputazione senza pari in tutto il mondo.  

Attraverso la scoperta di questo antico affresco, evidenziante una versione primitiva ma riconoscibile della pizza, possiamo riflettere sulla continuità gustativa che unisce il nostro presente all'antichità. La pizza, con il suo connubio perfetto di ingredienti e sapori, ha resistito alla prova del tempo. L'immagine dell'antico alimento, dipinta sulle pareti di Pompei, ci riporta indietro nel tempo, ma ci lascia anche riflettere, ammirandola sulla parete della villa dell’antica città, su quanto sia preziosa la nostra eredità gastronomica.

Earth Song : un appello audace contro la catastrofe climatica e la distruzione della natura.

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La canzone “Earth Song” di Michael Jackson, pubblicata nel 1995, ha ancora oggi un ruolo di grande attualità nel contesto di una sempre piu’ crescente preoccupazione per la catastrofe climatica e la distruzione della natura. Attraverso la sua musica coinvolgente e le potenti parole, Jackson ci invita a riflettere sullo stato del nostro mondo e ci sollecita ad agire in modo responsabile per invertire le conseguenze distruttive delle nostre azioni.

“Earth Song” — https://www.youtube.com/watch?v=XAi3VTSdTxU — affronta in maniera schiacciante le varie catastrofi ambientali che l’umanità ha inflitto alla Terra. Nel video musicale che accompagna la canzone, i panorami desolati di foreste distrutte, animali in pericolo di estinzione e acque inquinate mettono in evidenza il disastroso impatto delle attività umane sulla natura. Queste immagini agghiaccianti ci spingono a riflettere sulla necessità di proteggere e preservare ciò che resta del nostro prezioso ambiente naturale.

Oltre a presentare il lamentoso stato attuale delle risorse naturali del pianeta, “Earth Song” evoca un invito potente ad agire. Jackson ci spinge a prendere coscienza dei nostri comportamenti distruttivi, incoraggiandoci a cambiare le nostre azioni per invertire la spirale di distruzione. Ci invita a considerare l’importanza di una connessione armonica tra l’umanità e la Terra, affinché possiamo costruire un futuro sostenibile per le generazioni future.

L’attualità della canzone non può essere sottovalutata. Con il riscaldamento globale in costante aumento, l’aumento delle emissioni di gas serra e la perdita di biodiversità in tutto il mondo, essa rappresenta un grido di allarme che suona ancora oggi. La lotta contro la catastrofe climatica e la distruzione della natura richiede un impegno collettivo da parte dell’umanità, ed “Earth Song” ci invita a fare la nostra parte.

Esempio avvincente di come la musica possa essere utilizzata per porre l’attenzione su questioni cruciali come la catastrofe climatica e la distruzione della natura. La sua capacità di toccare le corde emotive di ognuno di noi, combinata con un messaggio di speranza e responsabilità, è oggi ancora forte di quanto fosse al momento della sua uscita.

Solo attraverso azioni concrete possiamo sperare di preservare il nostro prezioso pianeta per le generazioni future.

Ritorniamo al cinema

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Recentemente ho avuto l'opportunità di vedere dall’alto di un palazzo un vecchio cinema abbandonato a Cava e ho notato in esso alcuni rulli di pellicola di film, appoggiati in un deposito, dietro il grande schermo.

Sono rimasto sorpreso nello scoprire la quantità di materiale che era depositato, come se il tempo si fosse fermato all’improvviso e ho realizzato che questi rulli erano l’ennesima prova di una vulnerabilità ricorrente, la stessa che ha messo in pericolo il mondo cinematografico: la crisi del cinema causata dal Covid-19.

Nei mesi scorsi, l'industria cinematografica è stata messa in ginocchio dalla pandemia. Molti cinema indipendenti e locali sono stati costretti a chiudere, mentre le grandi catene cinematografiche hanno subito gravi perdite. I film sono rimasti senza un pubblico, ridotti a mere opere d'arte da guardare sul grande schermo, sono stati spesso rimandati più volte con la speranza di una ripresa del cinema.

Ho pensato alla bellezza del cinema e non solo. Amo molto la fotografia e la fotografia del cinema è un'arte in sé. Ogni scena, ogni inquadratura, ogni pezzo di azione e ogni immagine è composta con cura per presentare una storia visiva magica. In particolare la fotografia del cinema si è evoluta in modo significativo nel corso degli anni, grazie alla tecnologia sempre più avanzata, creando mondi fantastici che una volta erano considerati inimmaginabili. Ogni volta che vado al cinema, anche se raramente, lo faccio per divertirmi, per emozionarmi, per vedere questi mondi fantastici.

Abbiamo bisogno ora di evasione, di allontanarci dal quotidiano per respirare in un mondo capace di regalarci emozioni forti.

Non dimentichiamo che il cinema, che è una forma d'arte, di comunicazione e di intrattenimento, è anche una forma di condivisione.

Sediamoci in una sala cinematografica assieme ad altre persone che condividono un' esperienza emozionale: si creerà una vera e propria comunità, uno spazio di condivisione e vincolo in cui tutti sono ugualmente coinvolti.

Il cinema ci toccherà il cuore.

Una social-amicizia

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Recentemente mi è stato chiesto di scrivere una riflessione sui miei compagni di scuola di Liceo e, passeggiando qualche giorno fa per la strada alberata di Corpo di Cava, ho notato su un muro semi sgretolato un grosso rettangolo bianco con alcune scritte sbiadite che i raggi del sole hanno indissolubilmente cancellato: era una impronta dei tempi andati, del periodo del fascismo, dove vi erano state scritte di sicuro frasi inneggianti alla salvezza della patria o alla vittoria in guerra. Si intravedevano ancora alcune parole, ma il messaggio ormai non era più comprensibile.

Che collegamento c’è tra le due cose? Nel guardare quella vecchia “pubblicità” sul muro, non so per quale oscuro motivo, sono stato portato improvvisamente a pensare all’amicizia ed in particolare il pensiero è andato subito proprio ai miei compagni della III A del Liceo. I ricordi si sono riattivati immediatamente, pensando alla nostra giovinezza e a tutto quello che essa ci ha regalato e, nonostante siano passati tantissimi anni dalla “notte prima degli esami”, la nostra amicizia è ancora viva e per nulla sbiadita, come invece lo sono quei rettangoli bianchi sulle mura del villaggio cavese.

Cosa tiene uniti ancora molti di noi è un mistero: abbiamo una famiglia che ci tiene molto occupati, abbiamo avuto disavventure, lutti, alcuni sono diventati nonni, abbiamo superato molti ostacoli per il lavoro e la salute nella nostra vita: ma tutti noi non riusciamo a distaccarci da quelli che, forse, sono stati i nostri primi reali amici, i compagni di Liceo.

Non sto qui a raccontare quegli anni, gli anni Settanta: lo ricordiamo spesso in quei pochi incontri che abbiamo avuto “in presenza” negli ultimi decenni, parlando dei docenti, delle gite, dei capi di abbigliamento che indossavamo, delle follie nell’ora di ricreazione, delle stranezze di alcuni di noi,  delle odiose versioni di greco e di latino, delle prime discoteche frequentate, degli incontri al Club Universitario, degli intrecci amorosi e persino del professore che, forse, la materia da insegnare la conosceva ben poco e che metteva un “2” perché magari gli stavi antipatico.

Ma una cosa ci ha unito negli ultimi tempi (e può sembrare astruso per la nostra generazione post sessantottina): le nuove tecnologie, l’uso dei cellulari. Si, proprio i telefonini. Qualcuno ha avuto l’idea di creare una chat dedicata a noi studenti della III A del  "Marco Galdi" su una social-app, che ormai tutti usano e che per noi,ormai attempati ex liceali, è attiva già da qualche anno.

Magari soltanto con un "buongiorno" di pochi, ma il “buongiorno” c'è sempre. E' un buongiorno che a volte ci fa compagnia, che ci fa sentire per qualcuno di noi forse meno soli, ma soprattutto che ci tiene vivi nell'amicizia. Non mancano le polemiche e le punzecchiature, le battute sagaci di qualcuno o il vago accenno a problemi personali, mai indicati chiaramente. Ma l’importante è che ci siamo, ci siamo quasi tutti: magari leggiamo soltanto quello che si scrive, magari non lo leggiamo tutti i giorni, perché presi da tanti impegni e da una vita spesso vorticosa.

Lutti, feste, compleanni (ormai le candeline sono più di sessanta!), battesimi, matrimoni dei figli, qualche foto di gruppo familiare. Ma tutto ciò che leggiamo o scriviamo su di noi quasi ogni giorno (con qualche pausa temporale) è splendido e confortante, anche se è una semplice considerazione, una colorata gif o gli auguri per il Santo Natale. Perché ci fa comprendere che un filo ci unisce ancora. C'è ancora la volontà di far conoscere a quell’ amico, al tuo vecchio compagno di scuola, un minimo della tua vita, con discrezione e senza insistenza, con la consapevolezza che lui ti capirà e ti potrà stare, anche se solo virtualmente, sempre vicino.

Dal libro “Porticando Liceo. Più di 100 storie scritte a più di 100 mani” ed.AreaBlu,2023

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